venerdì 18 luglio 2014

Puttana da Guerra di Carlton Mellick III

www.vaporteppa.it
Articolo di: AleK

Il genere controutopico è stato stuprato e trasformato in qualcosa di innocuo per gasare gli amanti del pop-corn o per vendere fantascienza a qualche intellettualoide da circolo ARCI, con la sciarpetta e la giacca di mio nonno.

Per fortuna Carlton Mellick III ha tirato lo sciacquone e mi ha regalato, una immensa, scatologica, soddisfazione.

Se escludiamo alcuni capisaldi del genere (come 1984 di Orwell ad esempio) il genere distopico è veramente un'accozzaglia di brutali banalità e supercazzole.
E mi riferisco anche a certi classici osannati da tutti, tipo "La fuga di Logan" non solo ai prodotti moderni fatti per gridare libertà un tanto al chilo.

La fuga di Logan esalta, dà spunti di riflessione, ha tutto ciò che è necessario per essere Cinema d'Autore, Cinema Impegnato, mica robetta d'intrattenimento, un classico... sì, un classico dell'elettroencefalogramma piatto.


Alla fine dei conti è mille volte meglio vivere i trent'anni sotto il dominio del Computer, con salute, amore, felicità e, sì ragazzi, libertà, che non morire di stenti, di fame e di malattie come faranno tutti i personaggi del film (che però si conclude un attimo prima di mostrarcelo). E in nome di cosa? In nome della nostra società monogama, bigotta e piena di pregiudizi che consideriamo "Libera".


La fuga di Logan è l'Epic Fail della distopia moderna ma non ne è il campione, il campione (anche se sto barando, non essendo propriamente appartenente al genere) è ovviamante Matrix in cui è ovvio per qualsiasi creatura che arrivi al grammo di cervello, che il vero eroe è quello che manda a cagare tutti per una bistecca al sangue.

Ma sto divagando...

Questo racconto lungo (pubblicato in Italia da Vaporteppa) inizia come la più classica controutopia, con qualche tocco kafkiano, e subito richiama l'attenzione del lettore.
Come nelle migliori delle controutopie non si descrive un futuro autarchico e aberrante che fa paura, contro il quale bisogna lottare per la nostra libertà, ma si mettono all'indice i problemi esistenti nel mondo reale. Un piccolo dettaglio che i più celebri lavori moderni sul tema si sono persi per la strada concentrandosi interamente sull'estetica.
Abbiamo un mondo perfettamente costruito secondo il manuale "1001 distopie pronte all'uso", che però è il nostro mondo, solo un tantino amplificato, ma è questo. Ma non solo nella forma eh, anche la percezione di quella realtà da parte dei protagonisti è uguale a quella del bravo cittadino medio reale: va tutto bene! Tutta la parte sulla "critica poetica", sui cento libri, sulla ipocrita libertà di religione, sul concetto di normalità (tanto da dedicargli uno sport) è tutto uguale al nostro mondo. Ma su questi punti non mi voglio dilungare, perché saranno discussi anche nelle due ottime post-fazioni presenti nel testo.

Ora andiamo su quello che è il colpo di genio, perché il racconto inizia come controutopico, ma non lo è... ed è qua che l'autore, dopo aver defecato su un numero indefinito di opere, semplicemente mostrando come si mette in piedi una distopia come si deve, tira la catenella: signori e signore, arrivano i ribelli, coloro che lottano per la libertà, coloro che daranno la vita prima di farsi metter i piedi in testa da un governo oppressivo, arrivano gli eroi, i buoni, il modello da seguire che ci insegnerà la strada giusta e sono...

...sono una società di anonimi, vuoti, insensibili personaggi descritti in maniera stupefacente da una semplice frase pronunciata da uno di loro:
"Sono ancora in grado di avere un orgasmo, anche se non capisco come."
I ribelli siamo noi. E' la nostra società quella messa in mostra, quella che sicuramente possiede più di cento libri, ma fanno quasi tutti cagare e più fanno cagare e più spazio trovano sugli scaffali. Siamo noi che lottiamo in nome della nostra mediocrità. In nome di quello che ci fanno credere essere il migliore dei mondi possibile, per preservare il quale ci richiedono i più assurdi sacrifici.
Ma non fraintendetemi, non c'è alcuna esaltazione della dittatura, anzi è il contrario, solo che però c'è anche una grande, grandissima risata se non un presa per il culo, di fronte all'alternativa per cui lottare. Governo autoritario e ribelli, sono due facce della stessa medaglia. Non c'è via d'uscita.

E allora, perché o per cosa lotta l'uomo? 
Con buona pace degli idealisti, l'uomo lotta per se stesso, per egoismo, per la propria comodità, per ciò che ritiene il proprio e personalissimo benessere, per ciò che gli conviene, al massimo per chi ama, dopo averlo modellato bene come un vasaio.
Esattamente come una puttana da battaglia che si innamora di una persona che le riservava gentilezza e che, potendo scegliere tra due società in cui vivere, sceglie quella che gli garantisce di vivere con colui che ama. Sena alcuna altra ragione. Perché non c'è nulla di più egoistico dell'amore.
E forse Puttana da Guerra, aldilà di tutti i miei sproloqui e sovrainterpretazioni, è proprio una storia d'amore, dall'inizio alla fine, non di quelle romantiche, bensì di quelle reali, vere, di tutti i giorni, in cui la gente si ferisce e manipola a vicenda solo per il semplice fatto di esistere.

Per concludere, e chiudere il cerchio attorno a questi miei deliri, il genere distopico anziché aiutarci nell'analizzare i difetti della nostra società, metterla in dubbio e aiutarci nel migliorarla, si è trasformato in una esaltazione della stessa, tanto che anziché definirle "distopiche", certe opere sarebbe meglio chiamarle di "Propaganda". Puttana da Guerra è un dito medio alzato contro tutto questo, è una presa in giro, uno scherzo, una ventata d'aria fresca, senza banalità, senza pretese, ma con un sarcasmo unico.

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